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Scale modali: cosa sono, come sono e a cosa servono

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In questo articolo spiegheremo in maniera semplice cosa sono, come sono e a cosa servono le scale modali.

Più esattamente, scopriremo quali sono i 7 modi della scala diatonica.

Sarà un’ottima occasione per approfondire anche alcune nozioni fondamentali, ma poco note, della teoria musicale.

Siete pronti?

Bene, iniziamo!

Le note

Le note musicali della scala diatonica sono 7 e i loro nomi, stando ai due principali sistemi di notazione adottati in occidente, sono:

a)DoReMiFaSolLaSi
b)CDEFGAB
a) notazione europea e latina
b) notazione anglosassone e teutonica

Chi e come ha scelto i nomi delle note?

La risposta a questa domanda è nel nostro articolo «Teoria musicale base: 1 – il pentagramma» (qui).

Cosa è una scala musicale diatonica?

Una scala musicale è detta diatonica perché in essa le note si susseguono secondo (tendono l’una all’altra attraverso) una precisa successione di 7 intervalli, costituiti da 5 toni e 2 semitoni.

L’aggettivo diatonico deriva dal tardo latino diatonĭcus, che a sua volta deriva dal greco διατονικός (diatonikós) e διάτονος (diàtonos), cioè dalla radice del verbo διατείνω (diateino), cioè “tendere attraverso”.

Gli intervalli

In musica, un intervallo è la distanza, cioè l’ampiezza in termini di altezza, tra due note.

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L’intervallo di un’ottava si ha tra una nota (suono) che ha una determinata frequenza e un’altra nota (suono) che ha una frequenza doppia rispetto alla prima.

Anche sullo spartito musicale, una nota e la sua rispettiva ottava superiore (più acuta) o inferiore (più grave) sono posizionate a una distanza (in altezza) di 8 gradi (nel senso di gradini, contando righi e spazi) l’una dall’altra e hanno lo stesso nome.

Due note che hanno una frequenza doppia l’una rispetto all’altra sono simili: l’orecchio umano ne percepisce la diversa altezza (distingue quella più grave da quella più acuta), ma non ne distingue bene i diversi armonici naturali (cioè i suoni che qualsiasi corpo vibrante produce insieme al suono fondamentale).

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Chi ha stabilito a quali frequenze corrispondono le note?

Fino al XVII secolo l’intonazione degli strumenti musicali variava molto da paese a paese, secondo gli usi e secondo i gusti musicali delle diverse scuole di appartenenza.

Quando si rese necessario fissare un criterio uniforme (lo stesso spartito doveva essere suonato da esecutori provenienti da varie scuole) furono proposte varie alternative, ma fu soltanto con il Congresso di Londra del 1939 che si stabilì di intonare tutti il La corista a una frequenza di 440 Hz.

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Chi ha stabilito in che modo deve essere suddivisa un’ottava?

Due secoli prima del Congresso di Londra, nel 1722, Johann Sebastian Bach compose l’opera Il clavicembalo ben temperato con cui introdusse l’uso della scala diatonica temperata.

In base al suo innovativo sistema musicale, che è diventato il modello della musica occidentale ed è utilizzato ancora oggi, l’ottava venne suddivisa in 12 parti uguali (semitoni temperati) in progressione geometrica, tutti esattamente della stessa ampiezza, le cui frequenze possono essere ricavate su base logaritmica.

La scala temperata è in realtà una scala “artificiale”: non è fondata su fenomeni fisici perché considera solo le frequenze fondamentali delle due note senza tenere conto dei rispettivi armonici, ma non troppo perché il nostro orecchio non recepisca questi suoni come quasi uguali a quelli della scala diatonica naturale (che invece tiene conto anche degli armonici naturali).

Dividendo il tono in due semitoni uguali, la scala temperata elimina la distinzione tra tono maggiore/minore e semitono diatonico/cromatico che sono presenti nella scala naturale, e fa coincidere il suono di diesis e bemolli, per esempio Sol# = La♭, il che rende molto più agevole l’intonazione e l’uso dei tasti neri dell’organo o del pianoforte.

Tuttavia, la scala diatonica naturale non è stata definitivamente dismessa: essa viene utilizzata ancora oggi da cantanti, violinisti e, più in generale, per tutti gli strumenti musicali nei quali le note non hanno una posizione esatta sulla tastiera, ma vengono “costruite” dall’esecutore.

Come sono organizzati gli intervalli nella scala diatonica maggiore?

Se osserviamo la tastiera del pianoforte ci accorgiamo subito che tra i 7 tasti bianchi ci sono 5 tasti neri, tranne che tra il Mi e il Fa e tra il Si e il Do.

Come abbiamo visto, l’intervallo di un’ottava tra due note è costituito da 12 semitoni, che nel pianoforte corrispondono ai 7 tasti bianchi e ai 5 tasti neri.

Tra il Do e il Re c’è un tasto nero: questo vuol dire che l’intervallo tra Do e Re è costituito da 2 semitoni (da Do a Do# e da Do# a Re), cioè da un tono intero.

Il tasto nero tra il Do e il Re corrisponde a una nota che ha una frequenza perfettamente intermedia tra il Do e il Re (è poco più acuto del Do e poco più grave del Re che gli sono accanto): nella scala diatonica temperata, Do# (diesis) e Re♭ (bemolle) sono perfettamente identici, mentre nella scala diatonica naturale sono leggermente (quasi impercettibilmente) diversi.

Si vede bene che anche gli intervalli tra Re e Mi, tra Fa e Sol, tra Sol e La, tra La e Si, sono costituiti da 2 semitoni, cioè da un tono.

Tra Mi e Fa, e tra Si e Do, invece, non c’è nessun tasto nero: questo vuol dire che i rispettivi intervalli sono costituiti da un solo semitono.

Ora, se suoniamo in successione tutti i tasti bianchi del pianoforte, da Do a Si, e poi di nuovo il Do dell’ottava successiva, saltando tutti i tasti neri, produciamo la scala diatonica di Do maggiore: essa, infatti, è formata dalle note Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si e da capo a partire dal Do successivo.

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Dunque, nella scala diatonica di Do maggiore le note si susseguono in questo ordine di intervalli:

DoReMiFaSolLa.SiDo
ttsttts
t = tono – s = semitono

Dalla scala diatonica di Do maggiore è possibile ricavare le scale diatoniche maggiori di tutte le altre note (nell’ottava del Do, del Do#, del Re e via discorrendo), semplicemente rispettando l’ordine dei toni e dei semitoni che abbiamo appena visto: ttsttts.

Da quali note sono formate le scale maggiori?

A partire dalla scala diatonica di Do maggiore, seguendo lo stesso ordine di toni e semitoni, è semplice ricavare tutte le altre scale diatoniche maggiori. anche se finiremo necessariamente con l’utilizzare anche i tasti neri.

Per non rendere troppo complicata e noiosa l’esposizione, ci limiteremo a vedere, per esempio, come sono formate le scale diatoniche maggiori a partire dalla nota fondamentale Sol e a partire dalla nota fondamentale Re.

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Nella scala diatonica di Do maggiore non compaiono diesis o bemolle.

In tutte le altre scale diatoniche maggiori, invece, dovendo sempre rispettare la successione t-t-s-t-t-t-s degli intervalli, si finisce necessariamente per utilizzare almeno un diesis o un bemolle (cioè almeno un tasto nero del pianoforte).

Nella scala diatonica di Sol maggiore, infatti, si suona necessariamente il Fa# al posto del Fa, mentre nella scala diatonica di Re maggiore si suonano sempre il Fa# al posto del Fa e il Do# al posto del Do.

Per consentire all’esecutore di comprendere immediatamente qual’è la scala a cui si fa riferimento nello spartito, i diesis e i bemolle ricorrenti (detti accidenti perché alterano la nota di riferimento) vengono scritti in chiave, cosicché tutte le note dello spartito il cui nome corisponde a quelle quelle alterate dagli accidenti in chiave s’intenderanno “alterate”.

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Sorvoliamo qui sul tema della cosiddetta armatura dello spartito, cioè del modo in cui si scrivono gli accidenti in chiave e a quali scale diatoniche corrispondono, ripromettendoci di affrontare l’argomento in un altro articolo.

I modi della scala diatonica

Abbiamo visto che la scala diatonica maggiore è costruita a partire da qualsiasi nota fondamentale e suonando le note successive nell’ordine degli intervalli: t-t-s-t-t-t-s.

Esiste un altro modo di organizzare l’ordine con cui si succedono i 5 toni e i 2 semitoni della scala diatonica?

Certamente sì.

Il modo ionico o maggiore

La scala maggiore, infatti, è soltanto uno dei modi della scala diatonica, ed è detto modo ionico o maggiore.

Nella scala maggiore o ionica gli intervalli sono ordinati nella successione t-t-s-t-t-t-s.

Il modo dorico

Ora proviamo a costruire una scala musicale nell’ottava del Re, suonando solo i tasti bianchi del pianoforte.

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Noterete subito che i 5 toni e i 2 semitoni si susseguono in questo ordine: t-s-t-t-t-s-t.

Questo ordinamento degli intervalli della scala diatonica è detto modo dorico.

Nella scala dorica gli intervalli sono ordinati nella successione: t-s-t-t-t-s-t.

Il modo frigio

Ora proviamo a costruire una scala musicale nell’ottava del Mi, suonando solo i tasti bianchi del pianoforte.

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In questo caso i 5 toni e i 2 semitoni si susseguono in questo ordine: s-t-t-t-s-t-t.

Questo ordinamento degli intervalli della scala diatonica è detto modo frigio.

Nella scala frigia gli intervalli sono ordinati nella successione: s-t-t-t-s-t-t.

Il modo lidio

Ora proviamo a costruire una scala musicale nell’ottava del Fa, suonando solo i tasti bianchi del pianoforte.

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In questo caso i 5 toni e i 2 semitoni si susseguono in questo ordine: t-t-t-s-t-t-s.

Questo ordinamento degli intervalli della scala diatonica è detto modo lidio.

Nella scala lidia gli intervalli sono ordinati nella successione: t-t-t-s-t-t-s.

Il modo misolidio

Ora proviamo a costruire una scala musicale nell’ottava del Sol, suonando solo i tasti bianchi del pianoforte.

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In questo caso i 5 toni e i 2 semitoni si susseguono in questo ordine: t-t-s-t-t-s-t.

Questo ordinamento degli intervalli della scala diatonica è detto modo misolidio.

Nella scala misolidia gli intervalli sono ordinati nella successione: t-t-s-t-t-s-t.

Il modo eolio o minore naturale

Ora proviamo a costruire una scala musicale nell’ottava del La, suonando solo i tasti bianchi del pianoforte.

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In questo caso i 5 toni e i 2 semitoni si susseguono in questo ordine: t-s-t-t-s-t-t.

Questo ordinamento degli intervalli della scala diatonica è detto modo eolio o minore naturale.

Nella scala misolidia o minore naturale gli intervalli sono ordinati nella successione: t-s-t-t-s-t-t.

La scala minore naturale si ottiene suonando le stesse note della scala maggiore, a partire dal 6° grado (sesta nota) della scala maggiore.

Per questo motivo, la scala minore è detta relativa della scala maggiore: la scala di La minore, per esempio, è relativa (figlia della) della scala di Do maggiore.

Di conseguenza, il modo eolio è relativo del modo ionico.

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Modo locrio o ipofrigio

Ora proviamo a costruire una scala musicale nell’ottava del Si, suonando solo i tasti bianchi del pianoforte.

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In questo caso i 5 toni e i 2 semitoni si susseguono in questo ordine: s-t-t-s-t-t-t.

Questo ordinamento degli intervalli della scala diatonica è detto modo locrio o ipofrigio.

Nella scala locria o ipofrigia gli intervalli sono ordinati nella successione: s-t-t-s-t-t-t.

Riepilogando

La scala diatonica può essere strutturata ed eseguita in 7 modi, organizzando opportunamente gli intervalli di 5 toni e 2 semitoni.

Ionico o maggioret-t-s-t-t-t-s
Doricot-s-t-t-t-s-t
Frigios-t-t-t-s-t-t
Lidiot-t-t-s-t-t-s
Misolidiot-t-s-t-t-s-t
Eolio o minore naturalet-s-t-t-s-t-t
Locrio o ipofrigios-t-t-s-t-t-t
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Seguendo lo stesso ordine di toni e semitoni è possibile ricavare tutte le rispettive scale modali, a partire da qualsiasi nota dominante.

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Esistono altri modi di organizzare gli intervalli in una scala musicale?

A qualsiasi scala musicale può essere applicato il concetto di modo.

In generale, in una scala qualsiasi si possono “estrarre” tanti modi quante sono le note della scala, si possono quindi sviluppare fino a 12 modi.

Le scale diatoniche sono costituite da 7 note e da essa derivano 7 modi distinti.

In alcuni degli altri casi, i modi effettivamente esistenti possono essere in numero inferiore al numero di note della scala.

Questo accade quando la particolare struttura della scala comporta che anche a partire da note diverse determina la stessa successione di intervalli.

Per esempio, nella scala diminuita, che è costituita da 8 note e da una successione di 8 intervalli in cui a un tono segue sempre un semitono, i modi osservati sono soltanto due: t-s-t-s-t-s-t oppure s-t-s-t-s-t-s.

La scala esatonale, costituita da 6 note separate da 6 intervalli di tono ha evidentemente un solo modo: t-t-t-t-t.

Anche la scala cromatica, che è formata da 13 note separate da 12 intervalli pari a un semitono, ha un solo modo: s-s-s-s-s-s-s-s-s-s-s-s.

I modi musicali più noti e studiati, in ogni caso, sono i modi della scala diatonica, la cui importanza nella musica occidentale è dovuta al fatto che su essa si basa il sistema tonale occidentale, cioè l’insieme delle “note di base” di qualsiasi brano musicale.

Nella musica occidentale, infatti, al concetto di modo è legato quello di tonalità, dal momento che quest’ultima sfrutta la definizione di modo.

Il termine modalità si contrappone a tonalità: ciascuna delle dodici tonalità che formano il sistema tonale moderno si presenta infatti in due soli modi, maggiore e minore.

A cosa servono le scale modali?

Le scale modali non servono soltanto per definire la tonalità dei brani, ma vengono utilizzate anche e soprattutto nella tessitura melodica e armonica.

Le scale modali vengono utilizzate diffusamente nel jazz e, in particolare nel jazz modale, estendendo e completando il concetto di scala musicale tipico dell’armonia classica tradizionale.

Una melodia impostata su scale modali, all’orecchio moderno e occidentale, induce l’idea di qualcosa di sospeso, arcaico, indefinito.

Le scale modali possono essere utilizzate anche nel rock, nel pop e negli altri generi musicali?

Evidentemente, sì!

Nella musica classica molti compositori hanno utlizzato le scale modali.

Per esempio, Ludwig Van Beethoven ha esplorato il modo lidio gregoriano nel quartetto d’archi in La minore – Opus n. 132.

I Beatles, per esempio, hanno utilizzato il modo misolidio in Norwegian wood.

I Doors, per esempio, hanno utilizzato la scala locria per l’assolo di Light my fire.

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Gli esempi, a ben vedere, sono moltissimi: le scale modali appaiono molto spesso in quasi tutti i generi musicali, non solo nella musica antica, ma anche in quella moderna e contemporanea.

Le innumerevoli possibilità di impiego delle scale modali vengono ordinariamente esplorate e sperimentate nella musica fusion e, in particolare, nel jazz-fusion.

Se non avete dimestichezza con questo genere musicale, vi suggeriamo di dare un’occhiata al nostro articolo «Musica in genere: la fusion» (qui).

Se volete divertirvi con qualche bell’esercizio di musica modale, vi suggeriamo di leggere il nostro articolo «Lo stile di Don Mock illustrato da Gianfranco Continenza in 8 esercizi per chitarra» (qui).

Se, invece, siete alla ricerca di un metodo per chitarra che vi consenta di approfondire in maniera chiara, ma esauriente, lo studio e l’applicazione della musica modale, vi suggeriamo di considerare «Il chitarrista Jazz/Fusion e l’improvvisazione modale creativa – Vol. 1» di Gianfranco Continenza (Masciulli Edizioni).

Abbiamo letto approfonditamente questo metodo e ne abbiamo riportato le nostre impressioni in un recente articolo (qui).

Infine, se vi è venuta voglia di ascoltare con le vostre orecchie come l’uso appropriato delle scale modali possa dare vita a una musica di grande qualità, vi dedichiamo questa Deep Sensations, tratta da Vertical Horizons di Gianfranco Continenza.

Grazie per averci letto fin qui.

Buona musica a tutti!